Marco Lodoli ottobre 2000

I turisti scorrono lungo una via dei Fori romani, si sporgono per vedere meglio i ruderi e le colonne, vanno avanti, scompaiono, e intanto altri avanzano - chissà da dove arrivano, dal Giappone, dall'America lontana o da un pianeta ancora più distante - cercano di mantenersi in gruppo, di non sbandare pericolosamente, perché chi rimane solo potrebbe perdersi in questi luoghi sconosciuti e non tornare più a casa. Di tanto in tanto transita un volo d'uccelli, e forse qualche indovino potrebbe leggere il futuro in quei battiti d'ala, come fece Romolo che di questi rimasugli del passato è il padre remoto. Noi guardiamo tutto questo: la civiltà antica che impecettibilmente si sfarina in ciotoli e polvere, e la gente nuova che arriva, passa tra le cose con lo stupore e l'ignoranza di chi vorrebbe capire in fretta tutto quanto e non potrà capire quasi nulla, e il cielo che a poco a poco muta di colore, le ombre s'allungano e la luce retrocede. Noi guardiamo, ma siamo anche lì in mezzo, partecipiamo del flusso doloroso del tempo, della metamorfosi sommessa che avvolge e trasforma la materia, e qui cancella e lì aggiunge: e presto o tardi tutto cambia, nostro padre è morto, noi abbiamo ancora forza nelle spalle, ma meno di ieri, e i bambini cominciano già a chiedere e a piangere, e non si sa se vi sia un progetto, un senso, almeno una minima giustificazione in tutta questa immane e invisibile fatica o se tutto avvenga a caso, per dispetto, per il piacere di guastare e ricominciare e guastare di nuovo, ad eternum. I turisti vengono e ammirano: ma che cosa? Ammirano lo sfacelo del tempo, forse, e segretamente si compiacciono di essere ancora vivi e non già cipria o cenere al vento. Qui trionfò Cesare e qui Augusto sentenziò: ma Cesare e Augusto sono morti, e i turisti pensano con piacere che per loro c'è ancora una cena, stasera, un letto di sogni, un risveglio e un nuovo giorno, almeno. Chi viaggia e fotografa si sente superiore - perché vivo - alle vestigia di qualsiasi passato, alle Piramidi come ai colori di Michelangelo. Ma in questa scena che pare fissa e brulica come un formicaio, noi osserviamo la creazione della nostalgia. Chi guarda già ricorda, e invece vorrebbe che per un secondo almeno il tempo si fermasse, per non provare sempre l'impressione che qualcosa stia svanendo, un dettaglio da nulla o la formula decisiva. Il tempo è l'immagine in movimento dell'eternità, diceva Platone, ma il movimento perenne ci confonde, ci fa soffrire, ci allontana come profughi da casa, se una casa esiste davvero. In ogni modo cerchiamo di cogliere ciò che è fermo dietro alla capricciosa mobilità paesaggio, di concepire il pensiero che tutto tiene, la forma che benignamente accoglie e spiega lo sparpagliamento degli attimi e delle emozioni. Dietro alla realtà deve esserci il senso, il disegno, il concetto. E quanto cercavano i pittori del rinascimento fiorentino, e prima di loro i filosofi ateniesi. Qual è l'essenza degli enti? Su cosa poggia il formicaio del tempo? Andrea Aquilanti si pone oggi questa stessa domanda, spingendoci a guardare dentro al fluire degli uomini e delle ombre tra le fessure d'una via della Roma antica. E Aquilanti, come ogni vero artista, sa - per atto di fede nella vita - che le esistenze non sono puri ricami sul nulla, inutili ghirigori pronti malinconicamente a dissolversi: sotto al movimento c'è la fermezza di un'idea, la traccia d'un disegno, forse non così marcato e nitido come nelle carte leonardesche, forse più soffuso, più compromesso con il vuoto, eppure responsabilmente capace di reggere e spiegare. Somiglia più a un'illusione che a una verità, è un fondamento lieve, incerto, poetico, è una scommessa fatta a occhi stretti, una puntata che coinvolge il cuore più che la mente: tutto scorre, ma il senso rimane, si sedimenta nell'ombra, nel segreto, e bisogna educare lo sguardo giorno dopo giorno a cogliere ciò che resta mentre il tempo vola. La verità è un'impronta da nulla, l'orma lasciata da mille arrivi, da mille addii, e forse quell'orma stava già lì, nella mente, prima di ogni minimo viaggio.