ASPETTANDO LA COMPASSIONE

Che tempi strani! La gente tace, non risponde alle domande degli amici, non ne ascolta i racconti, non ne allevia le ferite. C’è tra le amicizie di chi fa lavori intellettuali un’aria strana. Si oscilla tra una sciatta indifferenza e un tallonamento litigioso. Ci sono persone che ci rimproverano continuamente il male che ci fanno e altre che non danno alcun valore alla nostra sofferenza, come se la nostra sofferenza fosse una vicenda solo nostra, come se l’amicizia fosse una merce confezionata in un baule di plastica. Riservare strali ai vicini più che ai lontani è sport diffusissimo. Sembra quasi che ci si diletti a spezzare il remo al nostro compagno di remata e poi magari ci si lamenta che altri filino dritti verso il traguardo. Non credo di conoscere i motivi di questa situazione. Semplicemente ne soffro, la subisco. Inutile fingere di padroneggiare il pericolo, inutile cincischiare con disincanti e pratiche immunizzanti. Si sta male in mezzo agli altri, si sta sempre peggio. Ormai la vita sociale somiglia sempre più a una Caporetto prolungata. Quello che si può fare è dire che non ce la facciamo più. Esporre con fermezza e senza aloni vittimistici che ci frequentiamo in modo sbagliato, che le nostre relazioni private sembrano assomigliare sempre più a quelle dell’orrenda scena pubblica. Relazioni in cui gli unici slanci sono quelli aggressivi. Il resto pare tutto un calcolo, come se la vita fosse una carta millimetrata in cui si debba fare il nostro disegnino badando a non confonderlo con quello del vicino.

Mentre scrivo queste righe faccio un errore che facciamo in tanti: penso di ricavarne qualcosa, magari qualche complimento di un amico, visto che righe come queste non te le paga nessuno. L’errore, l’ennesimo, si rivelerà ben presto, perché il testo uscirà da qualche parte senza sommuovere, senza farti palese la vicinanza di altre anime. L’idea del ricavo è un’idea ormai onnipresente nella mente della gente e ovviamente anche nella mia. Attendersi un ricavo di denaro piuttosto che di stima non è propriamente la stessa cosa, cambia il petalo, ma la radice è la stessa. Una radice avvelenata per il semplice fatto che ce l’hanno tutti. Se ognuno, qualsiasi cosa faccia, vuole sempre ricavare qualcosa, è chiaro che il rapporto con gli altri, amici e nemici, è sempre un rapporto conflittuale. Le cose non sono più in noi ma dobbiamo prenderle da qualche parte. Vivere diventa un’attività estorsiva. Così appare più che mai compiuta e insanabile la frattura con la stagione eversiva che molti vagheggiano di aver vissuto. Forse bisogna partire da qui, dal disastro in cui ci troviamo. Forse bisogna aspettare che ci venga un po’ di compassione per la nostra vita e per quella degli altri. Forse il disastro è ancora più grande per gente come me che è sempre un po’ smaniosa e non sa mai aspettare.